L’Incontinenza urinaria, un problema da risolvere
Per Incontinenza urinaria si intende la perdita involontaria di urina che può avvenire in entrambi i sessi e le cui cause possono essere molteplici: età, variazioni ormonali, alterazioni organiche, infezioni, interventi chirurgici etc
Tralasciando i particolari su cause e relativi trattamenti, ormai di facile consultazione online, l’incontinenza femminile più frequente è quella da sforzo (stress incontinence) anche se non di rado può verificarsi una incontinenza da urgenza (urge incontinence) non legata ai colpi di tosse ma a un impellente improvviso desiderio di mingere. Più complesse sono le forme miste.
Fattori di rischio possono essere sia il parto che la menopausa e una corretta diagnosi va fatta con uno studio urodinamico accurato. Se l’incontinenza medio-grave spinge spesso la paziente a sottoporsi a trattamenti (sling medio uretrali ovvero benderelle opportunamente posizionate per via vaginale per supportare l’uretra prolassata insieme alla vescica), le forme lievi, spesso lasciate a sé, possono essere causa nel tempo di imbarazzo e isolamento sociale.
Molto importante, dopo una o più gravidanze, è la prevenzione dell’incontinenza mediante esercizi mirati al rafforzamento della muscolatura pelvica (stressata dal parto), senza aspettare che si verifichi la perdita involontaria di urina.
Nei casi sintomatici, blande terapie locali con estrogeni, farmaci che riducono le contrazioni vescicali non volute e la eventuale riduzione del peso dell’addome possono essere rimedi validi.
Anche pregressi interventi chirurgici come l’asportazione dell’utero o altri interventi pelvici possono essere causa di incontinenza; in questi casi il chirurgo sa che è meglio associare contestualmente all’intervento una “colposospensione” ovvero un sollevamento del collo vescicale in posizione anatomicamente utile alla continenza.
Esistono poi tante terapie riportate come “miracolose”, specie online, riguardo alle quali però non c‘è sufficiente letteratura per accreditarle.
In conclusione, quindi, la prevenzione dell’incontinenza nella donna e il non accettare forme anche lievi “come normalità” sono elementi fondamentali per vivere una vita di relazione di qualità.
L’incontinenza urinaria maschile ha cause molto diverse da quella femminile e può essere dovuta sia a un ingrossamento benigno della prostata (IPB) con urgenza e gocciolamento post minzionale che a cause post chirurgiche, tipica è l’incontinenza dopo asportazione totale della prostata per un carcinoma.
Una ostruzione da adenoma prostatico benigno, con conseguente alterato svuotamento della vescica, può causare sia una incontinenza da urgenza, che un gocciolamento post minzionale , fino a determinare, nei casi più gravi, una perdita di funzionalità del muscolo vescicale (detrusore) per troppo tempo sottoposto a pressioni elevate endovescicali; una cosiddetta vescica neurologica con detrusore che perde la capacità di contrarsi e conseguente incontinenza da “vaso troppo pieno” (iscuria paradossa).
Quest’ultima è una condizione da evitare assolutamente, trattando i sintomi al loro insorgere (terapia medica, terapia endoscopica).
L’incontinenza per lo più da sforzo, come già detto, può essere causata dai postumi di una prostatectomia radicale. Raramente si mantiene nel tempo, in genere migliora col tempo fino alla risoluzione. E’ legata all’asportazione della prostata che può causare una asportazione anche dei nervi che vanno allo sfintere striato che controlla la continenza (oltre che ai corpi cavernosi che permettono l’erezione). Per tale motivo è fondamentale, quando possibile, eseguire una tecnica che risparmi questi nervi (tecnica nerve-sparing).
Quindi l’eventuale incontinenza post prostatectomia radicale, non è dovuta al metodo con cui si fa l’intervento (a cielo aperto col taglio, in laparo o robot), ma alla possibilità di condurre l’intervento in maniera corretta, alla stadiazione della malattia, all’età, alla conformazione fisica del paziente e, in ultima analisi, anche alla situazione anatomica della disposizione dei nervi (bundles).
Una certa percentuale di pazienti (fino al 20% nelle diverse statistiche) può manifestare una incontinenza transitoria la cui durata è imprevedibile, ma circa nel 3% dei casi si può verificare una incontinenza stabile e irreversibile; la terapia consiste nell’assunzione di farmaci, nel sottoporsi ad una attenta riabilitazione perineale post operatoria e, nei casi di incontinenza stabile, a un trattamento chirurgico (sling uretrali, sfintere artificiale).
Anche il maschio, nelle forme più gravi di incontinenza, è per lo più disposto a sottoporsi a un ulteriore intervento, al contrario nelle forme lievi spesso si arrende e convive con il problema che inevitabilmente lo porterà all’isolamento sociale.
Purtroppo, sottolinea la Dott.ssa Piera Rosso, l’incontinenza urinaria è ancora oggi un argomento tabù per la nostra società. Chi ne è affetto tende a nascondere la sua situazione sperando che si tratti di un fatto passeggero e a non parlarne nemmeno con il medico curante. Per quale motivo? Perché convivere con questa patologia provoca un intenso disagio che interessa la vita relazionale, familiare, di coppia, lavorativa e sociale.
Nell’immaginario comune le perdite di urina appartengono al mondo infantile o alla terza età, ovvero quando l’autonomia non è ancora stata raggiunta oppure quando la si è perduta. Ecco allora che chi soffre di incontinenza prova una sensazione di disagio, in primis verso se stesso/a, poiché sente di aver perduto il controllo del proprio corpo. L’immagine di sè viene compromessa causando un calo dell’autostima, imbarazzo e vergogna.
Il senso di inadeguatezza prende il sopravvento e nella maggior parte dei casi porta ad allontanarsi dagli altri per il timore di essere “scoperti” e giudicati. Si può arrivare anche alla paura di essere rifiutati o non compresi nemmeno dalle persone care, dalle quali gradualmente ci si allontana.
Il risultato? Un grande senso di solitudine e tristezza.
Che dire poi del senso di impotenza e profondo imbarazzo che si può provare a fronte di una perdita urinaria in un luogo pubblico o sul luogo di lavoro. La paura di allontanarsi da casa limita le occasioni di incontro sociale e fa aumentare il senso di isolamento; 9 incontinenti su 10 presentano una sintomatologia ansiosa e/o depressiva.
Come affrontare allora dal punto di vista psicologico questa patologia?
Prima di tutto non negandola ma acquisendo la consapevolezza che esistono trattamenti adeguati per ciascuna forma di incontinenza che possono migliorarla e in taluni casi anche risolverla.
Pensiamo ad esempio alla ginnastica vescicale ( che prevede lo svuotamento della vescica ad orari stabiliti), agli esercizi di Kegel (per il rafforzamento della muscolatura pelvica), alle tecniche di rilassamento (possono migliorare le risposte emozionali e fisiche all’urgenza di urinare), alle terapie farmacologiche e cure varie, e infine agli interventi chirurgici.
Ecco allora che il primo passo è l’adattamento alla patologia e soprattutto l’accettazione di noi stessi per poter vivere il più serenamente possibile con gli altri. Per alcuni è un processo relativamente semplice mentre per altri questo problema può causare una sofferenza insopportabile che richiede l’intervento di uno psicoterapeuta.
Ciò che conta è non restare con le mani in mano. E’ importante parlarne con il proprio medico e/o con uno specialista che, dopo un’accurata valutazione delle cause, saprà indicare il trattamento più efficace.
In conclusione, nel momento in cui si condivide un atto terapeutico con un paziente e si illustrano i pro e i contro, è fondamentale che il Medico/Chirurgo non “ enfatizzi” solo gli aspetti positivi e che sia presente anche uno Psicologo che sappia cogliere le fragilità del paziente stesso, per poter iniziare quanto prima a fornirgli il supporto indispensabile nel caso in cui si trovi a dover affrontare “ effetti non voluti” dell’intervento; ciò per una vita futura dignitosa. Guarire “tecnicamente” un paziente può non essere sufficiente se poi non lo si restituisce ad una vita di relazione dignitosa.
Quanto sopra, in ultima analisi, è un invito non solo ai pazienti, ma a tutti coloro che operano in sanità e nel sociale, a essere parte attiva di un processo che inizia con un atto terapeutico ma che deve continuare, se possibile, fino alla reintegrazione di tutto l’essere umano.
Dott. M. Bellina
Dott.ssa P. Rosso